Sui raggi di luna
Howard Phillips Lovecraft
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Disegno di Frank Frazetta e Sid Check da Beware n° 10, 1954 |
Detesto la luna, ne ho paura: anche quando brilla su oggetti familiari e amati, a volte li rende paurosi ed irriconoscibili.
Era un'estate spettrale, la luna brillava sul vecchio giardino in cui vagabondavo; era un'estate di fiori narcotici e umidi mari di foglie che portavano sogni fantastici e multicolori. Camminando lungo un basso torrente vidi bizzarre increspature tinte di giallo, come se quelle placide acque venissero risucchiate da correnti irresistibili verso oceani che non sono di questo mondo. Silenziose e scintillanti, malefiche e inargentate, le acque maledette dalla luna precipitavano non so dove, mentre, lungo le rive in ombra, bianchi petali di loto fluttuavano nel vento oppiaceo della notte e cadevano disperati nel torrente. Giravano, come impazziti, sotto il ponte ricurvo e scolpito, e guardavano verso di me con la sinistra rassegnazione di facce calme e morte.
Io me ne andavo per la riva, calpestando fiori addormentati col piede incauto, ossessionato dalla paura dell'ignoto e dal richiamo delle facce morte, quando mi accorsi che il giardino sotto la luna non aveva fine: dove di giorno c'erano le mura ora si stendevano nuove visioni d'alberi e sentieri, fiori e cespugli, idoli di pietra e pagode, e sotto la luce argentea il fiume curvava all'infinito, tra l'erba delle sponde e grotteschi ponti di marmo. Le morte facce di loto sussurravano tristezze, invitandomi a seguirle, e non arrestai i miei passi fino a quando il torrente diventò un fiume e tra paludi di canne ondeggianti e spiagge di sabbia lucente sfociò nella riva di un mare vasto e senza nome.
Sul mare brillava l'orribile luna; misteriosi profumi aleggiavano su onde mute. Le facce di loto scomparvero, desiderai avere una rete per catturarle e imparare i segreti che la luna aveva impartito alla notte. Ma quando la luna scese a ovest e la marea si ritirò dalla riva addormentata, vidi antiche guglie svelate dalle onde e bianche colonne festonate di alghe. Sapevo che in quel luogo inabissato si erano dati convegno tutti i morti e tremai, perché non volevo parlare più con le facce di loto.
Ma quando, da lontano, un nero condor scese dal cielo per riposarsi sulla grande scogliera, mi venne il desiderio d'interrogarlo e di chiedergli notizia di quelli che avevo conosciuto da vivi. Questo gli avrei chiesto, ma era troppo lontano e nel momento che si posò sulla scogliera non riuscii più a vederlo.
Guardai la marea che si ritirava e la luna al tramonto; vidi luccicare le guglie, le torri e i tetti della città morta e gocciolante; e mentre guardavo cercai di ignorare il puzzo dei morti del mondo che travolgeva ogni altro odore. Perché in quel luogo sconosciuto e dimenticato si era data convegno la carne corrotta di tutti i camposanti, banchetto incommensurabile per i vermi del mare.
Su quegli orrori la luna splendeva ormai bassa, ma per cibarsi le larve non hanno bisogno di luce. E mentre guardavo le increspature dell'acqua, che lasciavano intuire le contorsioni dei vermi, sentii un soffio gelido dal punto in cui aveva volato il condor: come se la mia pelle sentisse l'orrore prima ancora di vederlo.
Non avevo tremato senza motivo, perché alzando lo sguardo vidi che le acque si erano ritirate ancora e avevano scoperto la scogliera di cui prima scorgevo soltanto la cima. Mi accorsi che la scogliera era la corona di una terribile scultura, la cui fronte mostruosa brillava alla luna e i cui zoccoli immondi dovevano pescare nella fanghiglia dell'abisso; urlai perché la faccia nascosta dell'idolo non emergesse dalle acque, perché gli occhi non mi fissassero anche dopo il tramonto della luna gialla e traditrice.
Per sfuggire quell'orrore supremo mi tuffai lieto e senza esitare nelle secche graveolenti dove, tra pareti d'alghe e strade sommerse, i grassi vermi del mare banchettano sui morti del mondo.
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Copertina di Beware n° 10, 1954 |
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