John Wyndham
Il giorno dei Trifidi
Traduzione di Maurizio Nati
Quando un giorno che sapete essere mercoledì comincia subito a sembrarvi domenica, vuol dire che da qualche parte c'è qualcosa che proprio non funziona.
Provai quella sensazione dal momento in cui mi svegliai. Eppure, quando cominciai ad acquistare maggiore lucidità, non ne fui più così sicuro. In fondo era molto probabile che fossi io a sbagliarmi, e non tutti gli altri… anche se non riuscivo a capire come potesse succedere. Continuai ad aspettare, pieno di dubbi. Ma quasi subito ebbi la mia prova obiettiva, il rintocco di un orologio lontano: otto colpi, mi sembrò. Ascoltai attentamente, pieno di sospetto. Subito iniziò a rintoccare un altro orologio, su un tono alto, deciso. Senza fretta batté le otto, in modo inequivocabile. Allora seppi con certezza che le cose andavano male.
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Reynold Brown, Poster del film "The Day of the Triffids", 1962. |
Una sgradevole sensazione di vuoto cominciò a strisciarmi per le ossa. Era la stessa sensazione che avevo provato certe volte da bambino, quando mi immaginavo che negli angoli in ombra della mia camera si nascondessero chissà quali orrori, quando non osavo tirare fuori un piede per timore che qualcosa potesse strisciare da sotto il letto e afferrarmi la caviglia, quando non osavo nemmeno allungare la mano verso l'interruttore per paura che a quel movimento mi saltasse addosso chissà che cosa. Dovetti soffocarla, proprio come facevo quando ero un bambino che aveva paura del buio.
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Bill Wiggins, Eric Pulford, poster del film "The Day of the Triffids", 1962. |
E come se non bastassero i commenti alla radio, l'infermiera che mi portò la cena non seppe trattenersi dal raccontarmi tutto.
«Il cielo è semplicemente pieno di stelle cadenti» mi disse. «Tutte di un verde brillante. Trasformano le facce della gente in maschere spettrali. Le stanno guardando proprio tutti, e in certi momenti c'è luce quasi come se fosse giorno… solo che è di un altro colore. Ogni tanto ne cade una più grande, così luminosa che fa male a guardarla. È uno spettacolo meraviglioso. Dicono che non c'è mai stato niente del genere. Peccato che lei non possa vederlo, vero?»
«Vero» confermai seccamente.
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Ross Andru, Ernie Chan "The Day of the Triffids" (Part 1) da "Unknown Worlds of Science Fiction" n° 1, 1975 |
E così mi ritrovai di fronte alla domanda decisiva: ero più spaventato dall'idea di mettere a repentaglio la mia vista togliendomi la fasciatura, o da quella di restarmene al buio col terrore che cresceva di minuto in minuto?
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Ross Andru, Ernie Chan "The Day of the Triffids" (Part 1) da "Unknown Worlds of Science Fiction" n° 1, 1975 |
«È stata quella dannata cometa… che vada a farsi fottere! È stata lei. Quelle stelle cadenti verdi… e adesso sono tutti ciechi come pipistrelli. Non le ha viste quelle stelle cadenti verdi?»
«No» ammisi.
«Ecco perché. Adesso è tutto chiaro. Lei non le ha viste, e non è cieco. Tutti gli altri le hanno viste» dimenò un braccio in modo eloquente «e sono tutti ciechi come pipistrelli. Maledetta cometa, dico io».
Se poteste leggere i quotidiani di quei giorni, trovereste definizioni come
Tricoti
Tricuspidi
Trigenati
Trigoni
Triloghi
Tridentati
Treppiedi
Tripedali
Tripedi
Tricheti
Tripodi
Trippeti
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Frank Kelly, John Romita per la copertina di "Unknown Worlds of Science Fiction" n° 1, 1975 |
Quando ebbi finito di mangiare mi accesi una sigaretta. Mentre me ne stavo lì seduto a fumare, chiedendomi dove andare, e che cosa fare, il silenzio fu rotto dal suono di un pianoforte che proveniva da un appartamento proprio sopra il giardino. Ben presto una voce femminile cominciò a cantare. Era una ballata di Byron:
Non vagheremo più così
indugiando nella notte fonda,
anche se il cuore è parimenti preso d'amore,
e come allora luminosa risplende la luna.
Poiché la spada logora la guaina,
e l'anima il petto consuma,
e il cuore esige una pausa per respirare,
e l'amore stesso per il riposo sospira.
Anche se la notte fu fatta per amare,
e il giorno troppo presto ritorna,
pure noi non vagheremo più così indugiando al chiaro di luna.
Poi, da lontano, giunse un suono che attirò l'attenzione di tutti, un coro che cresceva lentamente:
E quando muoio
non seppellitemi
conservate le mie ossa
sotto spirito.
Il canto continuò, sempre più vicino, sempre più discordante:
Basterà mezzo litro
sulla testa e sui piedi
e le mie ossa, son sicuro,
resisteranno.
Non c'era nessuna fretta. La ragazza bevve un primo sorso dal bicchiere, e tirò su col naso. Le diedi il tempo di riprendersi, facendo dondolare il mio calice e ascoltando il grammofono nell'altro pub che sfornava un motivetto popolare, anche se un po' lugubre:
In un frigo sta chiuso il mio amore,
e nel freezer c'è anche il mio cuore.
Se n'è andata con un altro chissà dove,
ma mi ha scritto che non tornerà mai.
Adesso non mi vuole più bene,
sono solo un ghiacciolo per lei.
Son cambiato
sono solo un gelato
col mio amore in un frigo nascosto
e il mio cuore nel freezer riposto.
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